Il romanzo “La Sarta” meriterebbe di essere maggiormente conosciuto. Perché sa tenere il lettore con il fiato sospeso per 155 pagine e perché – particolare che può sembrare ovvio ma non è certo irrilevante – è scritto bene.

Del resto, Roberto Gandus, classe 1942, con le parole si è costruito un mestiere, anzi, più di uno: oltre che scrittore, è anche autore di testi televisivi e sceneggiatore cinematografico. Difficile comprendere perché non abbia raggiunto una più ampia popolarità come romanziere, visto che in questo piccolo gioiello noir sfodera ottime abilità di descrizione di personaggi e ambientazioni, nonché di costruzione della trama.

La storia prende spunto da un fatto di cronaca avvenuto nel 1942 a Torino: l’omicidio di una sarta che viveva in via Conte Verde. Passo dopo passo, il libro immerge il lettore nell’atmosfera del capoluogo piemontese in quel difficile e turbolento periodo storico contrassegnato dalla violenza della guerra e dall’odio razziale. Già, perché la vicenda della sarta di nome Gemma trovata misteriosamente morta nel suo modesto appartamento si lega presto alla vicenda di un anziano negoziante ebreo, Samuele Cohen, che viene accusato ingiustamente dell’omicidio da un commissario fascista di nome Mercatalli. Uomo mite e grande lavoratore, Cohen si trova a Torino perché la sua famiglia è fuggita dalle persecuzioni che pativa in Russia. Sua moglie è morta dando alla luce Myriam, una ragazza onesta che ha studiato pittura e insegna in un’accademia d’arte di via Bonafous ai bambini. Myriam è in conflitto con le sue origini ebree e vorrebbe liberarsene, dato che anche a Torino questa eredità è diventata pesante e pericolosa. Qualcuno appiccica alla vetrina del loro negozio – che vende stoffe e confeziona abiti su misura – un cartello su cui è scritto che gli ebrei devono andarsene e, in un episodio successivo, Myriam è costretta da un cameriere irritato ad allontanarsi con suo padre dalla celebre caffetteria Mulassano, nel centro storico della città, perché l’ingresso è vietato agli ebrei.

A irrompere nella vita di Cohen e della figlia, dopo la morte di Gemma, è il figlio di quest’ultima, Oreste, un ragazzone spavaldo e impertinente, in apparenza dedito solamente al gioco e alle donne. A poco a poco, però, Oreste riesce a ritagliarsi un posto di favore nel cuore di Cohen, uomo di grande intelligenza ma anche molto buono che accetta di assumerlo come commesso in ricordo della sua amicizia con Gemma.

La trama del libro si sviluppa da questo momento in più direzioni, facendo sì che i lettori si domandino quanto oneste siano realmente le intenzioni di Oreste verso Cohen e sua figlia. E, intervallata alla narrazione delle vicissitudini di Cohen, si inserisce – a dire il vero sin dall’inizio – la storia di un bambino – Fabio – che abita nella stessa via e che, insieme con il suo vicino di casa Giorgio, si diverte ad allevare piccioni viaggiatori in una gabbietta in soffitta. Un giorno, però, Giorgio scompare e Fabio decide di mettersi alla sua ricerca.

Come sono legati fra loro tutti questi personaggi? E come farà il vecchio e buon Cohen a difendersi dall’insidioso commissario Mercatalli, uomo mediocre che ha in odio gli ebrei e crede di rappresentare la fierezza italiana?

Il libro svela il mistero che circonda la fine della sarta Gemma a poco a poco, permettendoci nel frattempo di esplorare i luoghi in cui è ambientato e di respirarli come se ci trovassimo anche noi, ad esempio, nella bottega polverosa e dall’aria volutamente dismessa del vecchio Cohen fra stoffe e pelliccie, oppure nella caotica Porta Palazzo dal venditore di piccioni con le sue gabbiette, o ancora nelle vie eleganti della città come via Roma e via Po dove – prepotentemente – un bel giorno fanno irruzione i carriarmati. Torino emerge come una città sotto assedio, prima per via delle bombe che piovono dal cielo e che costringono molti – tra cui il piccolo Fabio – a sfollare verso paesini considerati sicuri, poi a causa dell’arrivo dei tedeschi.

È comunque la vicenda umana di Cohen – che non manca di fare sorridere il lettore con un micidiale, irresistibile connubio di umorismo ebraico e ironia torinese – a lasciare il segno nel lettore. Rappresentante della razza ebraica pur senza essere del tutto ligio alle regole della sua religione, Cohen funge il ruolo di capro espiatorio quasi fatalmente ma al tempo stesso cerca di ribellarsi al proprio destino in nome dell’amore per sua figlia, che vuole difendere.

Il male, in questo come in molti altri noir, possiede sia la ‘m’ minuscola che quella maiuscola. L’omicidio di Gemma è infatti soltanto il fattore scatenante di una più vasta azione di violenza e sopruso verso un innocente che, a sua volta, rispecchia l’odio disseminato dalla mentalità fascista e nazista su più ampia scala verso i soggetti considerati non in linea con l’ideologia dominante.

Pur con la presenza di un elemento, nel corso dello sviluppo della trama, a mio avviso non del tutto plausibile verso il finale, nonché di alcune sviste legate, si potrebbe supporre, all’editing del volume, “La Sarta” di Gandus è un’opera avvincente e raffinata, un gioiellino della letteratura noir da tenere in considerazione.

Autore: Roberto Gandus

Titolo: La Sarta. Torino, 1942

Casa editrice: Fratelli Frilli Editori

Data e luogo di pubblicazione: 2015, Genova

Pagine: 155

Prezzo: 9,90 euro

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Siamo partiti con l'idea di segnalare libri che hanno un'ambientazione torinese attraverso recensioni, incontri e interviste con gli autori ma ci piace dare spazio a quegli autori che a Torino vivono e lavorano anche se i loro personaggi sono di Roma, di New York o di un luogo immaginario. Siccome non ci piace solo la narrativa, faremo qualche incursione dentro la Storia e le tante storie che hanno fatto la città.

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