L’androne di questo palazzo in un quartiere residenziale in prossimità del centro di Torino è ampio, e ci sono una rampa di scale a destra e una a sinistra. Cerco l’Avv. Morello ma non lo trovo, anche se mi balzano all’occhio almeno un paio di targhe ottonate dello Studio legale o dell’avvocato tal dei tali. Non mi resta che chiamare Enrico e farmi venire a prendere. Nel corridoio dell’ufficio la luce è accesa, perciò la corrente non è stata “tagliata” e questo mi conforta perché sto per intervistare l’autore di “Ufficio salti mortali”, nonché padre letterario dello squattrinato avvocato Arturo Speranza.
1)Questo è il tuo primo romanzo e non sei uno scrittore professionista: come è iniziato il tuo rapporto con la scrittura e quali difficoltà hai incontrato?
Quando ho iniziato a scrivere non pensavo minimamente di pubblicare. La mia unica regola è sempre stata divertirmi: quando non mi diverto smetto di scrivere perché il mio obiettivo è cercare di rendere la cosa sempre emozionante. La prima volta che ho fatto vedere le bozze a un grande editore mi ha detto che era bello ma che mancava la struttura letteraria: non avendo fatto scuole di scrittura, ho cercato di capire cosa fosse ma ho anche capito che appesantire la struttura può essere un limite. Non aver fatto scuole, ammetto che in parte è un limite, in parte è anche un pregio perché ho capito cosa s’intende per struttura e cosa significa scrivere proprio scrivendo e frequentando questo mondo.
Credo che non aver fatto scuole per certi versi renda il libro più genuino: penso a scrittori con Bukowsky o Fante che sono riusciti a dare il massimo come scrittori senza perdere nulla della forza della loro scrittura perché penso che il massimo sia scrivere con forza. Certo, si vede che è un libro scritto da uno che non ha fatto le scuole ma forse questo ha il suo vantaggio.
Quanto alle difficoltà, per me è stato non prendere sul serio il ruolo di scrittore. Io, infatti, l’ho presa come una vacanza ma quando entri nel mondo difficile dell’editoria non è più una vacanza: dopo un po’ che discutevo su una frase con il mio editor dicevo che poteva scrivere cosa voleva perché essenzialmente mi annoiavo. Invece, mi sono divertito a creare la contrapposizione tra Arturo che è tutto tranne che speranzoso e Pio che è tutto tranne che pio.
Ho apprezzato il lavoro enorme di chi sta dietro un libro: mi sono reso conto di quanta gente, di quanti professionisti e di quanta fatica ci sia dietro un prodotto di pochi euro e se prima rispettavo queste persone da lettore ora la rispetto ancora di più da scrittore come, d’altronde, rispetto tutti quelli che scrivono perché scrivere è una cosa meravigliosa.
Scrivere rimane ancora una vacanza ma un po’ più impegnativa di quello che pensavo.
2)Arturo Speranza è decisamente un fallito ma io non posso che trovarlo simpatico perché è un po’ quell’antieroe che nell’attuale società dell’apparenza ci ricorda che c’è anche un’altra realtà: quanto Arturo è un tuo alter ego e quale rapporto hai con lui?
Arturo è certamente il mio alter ego (anche se mi hanno detto di non dirlo..!) anche se per fortuna le cose non sono andate proprio così … ho parlato anche di fatti non miei ma di altri. Mi dicono che è un libro coraggioso proprio per questo. La cosa che mi ha stupito, siccome pensavo che le cose interessanti fossero la storia, l’amicizia tradita, la contrapposizione tra Arturo e Pio, è che ciò che è piaciuto di più è la descrizione del mondo in cui Arturo vive, mi dicono che è proprio così ma nessuno lo ha mai detto.
Incontro i colleghi che mi dicono “come va?” e io rispondo “va benissimo!” e ridono di questa battuta che io, tra l’altro, non ricordo neanche di aver fatto. E’ come se avessi tolto un velo raccontando qualcosa che è palese ma che non è mai stato detto.
Un libro è quello che ti lascia, e io cerco un libro che non lascia indifferenti; poi può piacere più o meno. Molti preferiscono Pio che in fondo è cattivo ma io non trovo che Arturo sia un eroe: è uno che come tanti cerca di adattarsi a sopravvivere (all’inizio volevo addirittura intitolare il libro “stare a galla”) ed è umano proprio perché non vuole essere diverso da quello che è.
Anche quando potrei renderlo più simpatico lo mostro con le sue cattiverie: come Pio si approfitta di lui, lui si approfitta di quella che fa le pulizie nello studio e non cerco affatto di renderlo migliore, perché non penso che il protagonista debba necessariamente essere simpatico.
Arturo è un personaggio con dei principi che in un altro momento storico sarebbe stato migliore ma adesso non ci riesce. Quello che mi piace è che non riesce a prendersi sul serio, anzi disprezza quelli che si prendono troppo sul serio, poi lo fa nel salottino quando aspetta delle ore che lo ricevano dei clienti e appare sorridente come se non avesse aspettato un’ora perché non può fare altro. E’ uno che si è adattato con fatica, così come tanti altri della sua generazione, ad un mondo che è cambiato. Non per niente ci sono dei riferimenti al mondo dell’avvocatura com’era un volta quando l’avvocato era temuto e rispettato, forse fin troppo, ma adesso il rapporto di forza si è invertito.
La cosa che è piaciuta di più è proprio la descrizione di questo mondo: anche colleghi di chiara fama che hanno letto il libro si riconoscono perché di avvocati ricchi ce n’è sempre meno ma bisogna fare comunque finta di esserlo. Il cliente vuole l’avvocato ricco e quello che ha indebolito la categoria è stato proprio mostrarsi superiore al denaro perché, nell’ottica del cliente, se sei vestito bene e con una bella macchina è perché dei soldi non hai bisogno e allora non è nemmeno necessario che ti paghi.
Quello che mi piace molto è il finale: non si capisce se Arturo vince o perde la causa ma in fondo questo non è importante. Alla fine di questa lunghissima cavalcata ad Arturo non frega più niente di perdere e neanche di prendere i soldi che gli spettano e così se ne va con questa camminata serena.
3)Avevi in mente un certo tipo di lettore e chi pensi possa essere il tuo lettore?
Avevo in mente gli avvocati e, in generale, i professionisti della mia età ed effettivamente è quello che è successo anche perché credo sia proprio questa la categoria maggiormente interessata.
Tuttavia, mi ha reso fiero quando qualche ragazzo giovane mi ha detto di aver letto il libro e di essere rimasto colpito perché avendo figli in età adolescente e post – adolescente mi pare leggano poco.
Io ho un buon ricordo di alcuni libri che ho letto da ragazzo e mi piace pensare che qualcuno più giovane possa leggere il mio libro e trovarlo interessante.
4)Immagino tu sia anche un lettore forte, chi sono i tuoi autori preferiti?
Leggo di tutto e tanto: mi piace la scrittura che non prende in giro il lettore, quella dell’autore che sa quello che vuole dire e non aggiunge nulla di più. Ho letto libri anche famosi che, per la mia presunzione di lettore, hanno costruzioni belle ma mancano di anima mentre trovo ci siano dei grandissimi libri ma meno famosi. Calvino e Fenoglio sono decisamente due autori per me importanti: di Fenoglio mi piace l’agrezza, leggi e immagini il territorio e puoi vedere Johnny che si muove, riesci a entrare nel suo mondo; Calvino è più cerebrale, mi fa quasi male leggerlo tanto è essenziale ma è anche lui meraviglioso.
Mi piace Bukowsky perché è irriverente: una della pagine più belle è il racconto dell’incontro con Fante amputato in un letto d’ospedale. I libri di Fante, invece, sono obbligatori: il mio libro avrei voluto chiamarlo “Vite impolverate” e sarebbe stato un omaggio a “Chiedi alla polvere”, Arturo è un omaggio a Bandini. Infine, credo che un altro grande autore sia Buzzati.
5)Racconti con ironia e leggerezza il declino di una casta quanto ti è costato fare questo?
In realtà meno di quello che credessi, perché ho detto una cosa molto più ovvia di quello che pensassi. Quando ho iniziato a scrivere, come ho già detto, non pensavo di pubblicare e quindi non mi sono fatto molte domande. Sono riuscito a dire cose che non avevo mai detto neanche alle persone vicine, come a mio padre, vengo, infatti, da una generazione che aveva poca confidenza con i genitori.
L’amore verso il padre si capisce dalla dedica e la cosa che non gli ho mai detto è cosa volessi fare quando dicevo che volevo cambiare mestiere: mio padre mi diceva che se fosse morto prima non l’avrebbe mai saputo. Purtroppo è effettivamente mancato prima e non c’è stato tempo di dirglielo. Mi piace Arturo che pur di tenere vivo il contatto col padre defunto gli manda dei messaggi sul cellulare.
Anche una mia cara amica è mancata troppo presto: quando le hanno messo il manoscritto tra le mani non ha più avuto la forza di leggerlo e sono fiero di come questa cosa sia piaciuta a sua madre e a sua sorella.
Non fosse altro per queste due cose sono felice di aver scritto il libro, è un omaggio a due persone che mi mancano molto. Un libro è una cosa meravigliosa anche perché si può rendere un tributo alle persone.
Alla fine di questa intervista scopro che ci sarà un seguito e allora non ci resta che attendere la prossima uscita in libreria: forse scopriremo se Arturo quella causa l’ha vinta o persa … chissà!