Abbiamo intervistato lo scrittore Enrico Pandiani per scoprire qualcosa di più del suo rapporto con Torino e capire perché abbia fatto di questa città l’ambientazione del suo ultimo romanzo, il noir “Polvere” (DeA Planeta 2018, 432 pp., 13,60 euro)
Enrico Pandiani, perché ha scelto Torino come ambientazione del suo ultimo romanzo e quali luoghi ne hanno particolarmente influenzato la scrittura?
Torino è una città che sa come tirarti fuori i pensieri, le impressioni, ha questa abilità straordinaria di suscitare storie. È un luogo che riesce a sorprenderti anche se ci abiti da sessant’anni, sa farsi guardare e, soprattutto, sa farsi amare. D’altra parte Torino è molto cambiata negli ultimi quarant’anni, si è imbellita, è diventata internazionale, non ha nulla da invidiare alle altre città europee. Forse ha anche qualcosa in più.
Questa volta cosa mi ha attratto sono state le sue periferie, questi luoghi che si sono formati e che stanno invecchiando, che nessuno va a visitare nonostante abbiano un loro indiscutibile fascino, a volta anche perverso. Sono posti a volte disumani, ma hanno lo charme della difficoltà, delle vite che si mescolano, delle storie che salgono lungo i muri di mattone dei condomini. In “Polvere”, il mio nuovo romanzo, sono le vere protagoniste della storia, con tutto ciò che mostrano e con le cose, a volte terribili, che nascondono.
Vi sono zone o punti di Torino che associa al suo percorso di scrittore perché l’hanno ispirata o perché le ricordano momenti significativi della sua vita?
Certamente la parte della città che si snoda lungo il Po, quella che raccoglie i quartieri che una volta erano popolari e che adesso in parte sono diventati chic, dove panetterie, latterie, pollivendoli e alimentari hanno lasciato il posto ad antiquari, gallerie d’arte, negozi d’abbigliamento e bar eleganti. Io ho passato una vita in questi borghi, sui lungofiume, attraversando i ponti. Ho molti ricordi e mi piace ambientare qui le mie storie. Piuttosto che momenti della mia vita, però, preferisco raccontare quella degli altri, mi piace pensare che i miei personaggi prima non esistevano e adesso sono reali.
Trova che Torino si presti bene a fare da sfondo alle vicende di un noir? Per quali motivi?
Io sono un ratto di città, mi ci trovo bene e quando mi allontano mi manca sempre. Mi piace il traffico, la sporcizia, le cartacce per terra, l’odore del monossido e quello dello smog. Torino queste cose le ha tutte e ne ha tante altre che ne fanno il luogo ideale per un romanzo noir. Mi piacciono le vie lunghe che sfociano in aperture magistrali, quella specie di giungla che corre lungo il fiume, che nasconde, più che rivelare e che in certe ore della notte pullula di malaffare. E poi c’è la collina, una sorta di schiena di enorme animale nella quale ci si può perdere come pulci sul dorso di un cane. Non è difficile trovare delle storie, anche solo guardando le persone. Di Torino mi piace anche la maniera morbida in cui, allontanandosi dal centro, si trasforma in periferia.
Quali sono gli scrittori torinesi che ammira di più?
Torino è una città che ospita molti scrittori, Margherita Oggero, Alessandro Perissinotto, Massimo Tallone, Carlo De Filippis e tanti altri. Credo che ognuno di noi guardi questa città in modo speciale. Anni fa, assieme ad altri dieci scrittori di genere, abbiamo fondato un’associazione che si chiama Torinoir, unica nel suo genere, per quel che ne so. Ci piace confrontarci, discutere, litigare, a volte. Non è insolito che uno di noi chieda a un suo collega di leggere ciò che ha scritto, per avere un parere o per chiedere consiglio. A volte capita che mentre scrivi ti trovi in un’impasse. Chiami un amico di Torinoir e dopo una bella chiacchierata, hai risolto il tuo problema. Abbiamo anche un sito: www.torinoir.it. Tutto sommato, non credo che uno scrittore possa ammirarne un’altro. Ne può piuttosto apprezzare la scrittura, può trovare interessante o divertente ciò che scrive, può trarne ispirazione. Però una cosa è certa; non è automatico, ma in questo mestiere nascono grandi amicizie.