Turin. The writer Margherita Oggero at home.

Incontriamo Margherita Oggero nella sua casa a Torino. Ci accoglie con un sorriso e ci fa accomodare nello studio in cui scrive i suoi romanzi. Una grande libreria alle spalle, inizia a rispondere alle nostre domande.

1) Perché molti suoi libri sono ambientati proprio a Torino?
Sono nata e cresciuta a Torino e mi sono sempre sentita torinese, ragione per cui ho ambientato molti miei romanzi in questa città. Inoltre, col passare degli anni è sempre più difficile allontanarsi dalle proprie radici. Vi sono soprattutto relazioni sociali che non è possibile trasportare in altri luoghi. A volte mi sorprendo di quegli anziani che scelgono di spostarsi altrove e mi chiedo se non abbiano nessuno di cui poi potrebbero sentire la mancanza.
Torino è inoltre una città che mi piace, pur non essendo priva anche di difetti, ma gli affetti non hanno bisogno di motivi logici.
Torino influenza anche i miei romanzi nel senso che questa ambientazione inevitabilmente determina una serie di aspetti che descrivo. Alcuni miei libri sono focalizzati anche idealmente in questa città.
Mi è dispiaciuto che la prima serie legata ai gialli della prof.ssa Baudino non fosse ambientata a Torino: hanno prevalso le esigenze legate al cast e alla produzione. Io però avevo fatto presente sin da subito che il contesto torinese sarebbe stato l’ideale.
2) Ci sono luoghi di Torino cui si sente più legata?
Amo il centro storico perché è la parte più aulica e rappresentativa della bellezza della città. Ma sono affezionata anche a luoghi meno aulici come Porta Palazzo e ai luoghi in cui sono cresciuta, cioè Barriera di Milano e in parte il quartiere Aurora. Sono i luoghi della mia infanzia e adolescenza ed erano molto diversi da oggi. Barriera era formata da una serie di ‘borghi’: ogni zona aveva i suoi bar, i suoi cinema, anche se con film di terza o quarta visione e non di prima come in centro. Si riproduceva lo stesso stile di vita dei paesi, oggi andato perduto. Sono posti che a me sono molto cari.
3) Perché proprio via Maria Vittoria come dimora per Esther nel suo ultimo romanzo?
Perché in via Maria Vittoria ci sono ancora i cancelli che chiudevano il ghetto. Il ghetto torinese si apriva proprio in via Maria Vittoria. E’ proprio Esther ad avere scelto quel posto: ella ha un rapporto riluttante con l’ebraismo che la fa finire vicino alla sinagoga. Anche se è ebrea laica l’ebraismo l’accompagna per tutta la vita e il marito lo sospetta: le chiede perché non vadano a vivere in una parte nuova e lei non risponde.
4) È molto interessante il rapporto Esther-Rosanna…
Sì, entrambe le donne sono unite da una certa spregiudicatezza e da una morale rigida che però non ha nulla a che vedere con quella ritenuta più usuale. In Rosanna c’è una dose di incoscienza giovanile: si butta come di fronte a un salto. C’è quella frase in cui cerco di mettere in luce la sua avventatezza ma anche la sua ingenuità: “se scrivessero un’altra Bibbia ci metterebbero anche il mio nome”.
Rosanna avverte l’intelligenza e la gentilezza di Esther anche se è taciturna. E’ sbalordita di fronte a una richiesta che però non era poi così pazzesca. Nella famiglia patriarcale allargata succedeva che, se la sorella non poteva avere figli, la cugina o la sorella nubile si prestasse e poi andasse in campagna con la scusa che una parente non stesse bene per partorire il figlio. Era un modo per preservare l’identità di una famiglia, l’eredità. Allora l’istituzione dell’adozione era seguita solo fra adulti, per questioni patrimoniali: un adulto adottava un altro adulto per lasciare le sue proprietà.
5) Queste due figure sono anche accomunate dall’assenza del padre
Sì. Rosanna si ricorda a tratti di com’era il padre prima di perdere il lavoro, quando la faceva giocare da bambina e prima di perdere il rispetto di se stesso, per non parlare di quando è tornato dalla guerra. Non ha una relazione positiva col padre, come invece ha Esther. Tuttavia, il padre di Esther è stato anche molto inclemente verso la moglie, che se n’era andata con il suo amante: per questo ha impedito che la madre di Esther continuasse ad avere rapporti con la figlia.
6) Com’è venuta l’idea di un libro così radicato nella storia?
Volevo scrivere una storia non di adesso, che affondasse le radici settanta ottanta anni fa. Volevo raccontare come la storia definita con la S maiuscola finisca sempre per determinare in parte le storie personali. Ad esempio, nessuno può evitare di fare i conti con la guerra, che sia adulto o bambino, e questo determina carattere ed esistenza. La famiglia è sottoposta a certi timori. Si deve sfollare per i bombardamenti, bisogna economizzare tutto perché le razioni alimentari sono sottoposte al tesseramento.
Ho dato spazio alle fasi storiche più importanti: ascesa nazismo, Shoah, guerra civile dalla fine del ‘43 in poi, il periodo ottimistico della ricostruzione. Alla fine della prima guerra mondiale c’era un clima di risentimento sia verso i governi, che avevano portato l’Italia in guerra, ma anche in generale e non è un caso che questo abbia portato al fascismo.
Nel romanzo i personaggi vivono la guerra direttamente (alcuni) e indirettamente tutti: Rosanna lotta col cibo, lei e il fratello non hanno abbastanza da mangiare.
7) Le vere protagoniste, in questo romanzo, sono quindi le donne. E gli uomini, che tipo di personalità possiedono?
Riccardo non è un debole: persegue il suo innamoramento per Esther e non deflette. Continua a coltivare questo rapporto perché è quello che crede importante per la sua vita. Suo padre lo copre quando va da Esther e dopo l’8 settembre gli dice “vai da lei”. Poi c’è Nicola, innamorato della musica, che per lui viene prima di qualunque altra cosa. E’ un uomo risoluto. E’ innamorato di Rosanna ma quando gli viene offerta la possibilità di andare negli Usa non cede. Riccardo, invece, è il padre, il marito solido e generoso, un prototipo molto diverso da Nicola.
8) E poi anche Rosanna cambia..
In fondo è anche un romanzo di crescita, Bildungsroman. Anche Andrea passa da un’adolescenza un po’ turbinosa, in contrasto con le due donne, a una fase in cui riscopre le radici. Abbandona gli Usa, torna in Italia, vuole addirittura andare a vivere in paese, dove tutto ha avuto inizio. Dopo aver girato tutto il mondo dietro ai suoi studi, vuole tornare al paese. In questo romanzo ci sono le radici, tranne che per Esther perché il suo mondo è stato scardinato.
9) Parliamo della lingua utilizzata in questo romanzo: usare il dialetto funziona?
Ieri ho fatto una presentazione a Sommariva Perna, loro non usano smorbia. E’ un termine usato nell’area fra Torino e Milano, nella zona delle risaie, a Chivasso. E’ un aggettivo usato quasi solo al femminile. Smorbia è la donna che ha ambizioni sociali e che per salire la scala sociale su tutto ha uno sguardo altezzoso. E’ la donna che per elevarsi socialmente si dava anche un po’ di arie perché tutto quello che c’era in casa sua non andava bene.
La scelta poteva essere fra il linguaggio di autore, cioè il linguaggio proprio dell’autore e che questi attribuisce a tutti i personaggi o il linguaggio mimetico, cioè più variegato e adattato in base alla provenienza sociale di ciascuno. In realtà, il termine dialettale è molto più incisivo e violento, mentre la lingua è più morbida. Il dialetto è sicuramente più spiccio e si presta bene a caratterizzare la specifica localizzazione geografica.
10) Questo è un libro di narrativa ma ci sono anche elementi storici.
Ho fatto ricerche che mi hanno fatto scoprire molte cose, ad esempio non sapevo che i tedeschi avessero portato via da Torino molte matrici tranviarie. Sono cose marginali ma di cui non sospettavo l’esistenza. Credo che la storia dovrebbe insegnarci qualcosa anche se poi purtroppo non è vero perché le cose si ripetono.
I personaggi sono tutti inventati pur tenendo conto della verosimiglianza.
11) Torino ha anche qualche lato negativo: secondo Lei quali sono?
In peggio ci sono cose macroscopiche come la perdita delle attività produttive. Quando La FIAT ha iniziato a lasciare a casa migliaia di dipendenti da un lato ha messo in crisi l’economia torinese, dall’altro ha mobilitato e aperto la via a tante energie nuove. Torino era diventata la capitale della musica giovane, ha sfornato innumerevoli scrittori, si era aperta una piccola stagione che, tuttavia, ora si sta restringendo di creatività. Lo sviluppo di una città alternativa alla città-fabbrica è associata sia ad aspetti positivi che negativi come lo spopolamento e l’impoverimento (la gente lascia la città alla ricerca di posti meno cari). Poi, forse, ma non riguarda solo Torino, c’è un certo imbarbarimento del vivere civile, in parte legato alla mancanza di prospettive economiche certe, e ad un clima di sfiducia in tutto. Non c’è più niente che funzioni secondo il pensiero collettivo. Manca ottimismo nel futuro. Nelle realtà più piccole questo si patisce meno.
12) Cosa crede significhi essere torinese?
Essere torinese vuol dire cercare di mantenere per carattere o educazione famigliare certe abitudini ma ormai la popolazione torinese è così ibrida e mescolata che la torinesità è ormai subliminale. Il senso delle radici si avverte ancora nelle realtà più piccole, dove si parla ancora il dialetto e dove c’è più mutuo soccorso. Anche se la città offre meno controllo sociale come si avverte ancora nei paesi.

UN PO' DI NOI

Siamo partiti con l'idea di segnalare libri che hanno un'ambientazione torinese attraverso recensioni, incontri e interviste con gli autori ma ci piace dare spazio a quegli autori che a Torino vivono e lavorano anche se i loro personaggi sono di Roma, di New York o di un luogo immaginario. Siccome non ci piace solo la narrativa, faremo qualche incursione dentro la Storia e le tante storie che hanno fatto la città.

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