“Non fa niente”, di cui trovate la recensione anche su questo Blog, è l’ultimo romanzo dell’amata scrittrice torinese Margherita Oggero (2017; Einaudi, Torino; 244 pagine; 19,00 €). Ambientato a Torino come molti altri suoi libri, è un salto all’indietro nella storia attraverso le vicende di personaggi forti e non convenzionali.

Le abbiamo posto alcune domande per scoprire cosa si nasconda dietro questa sua ultima fatica letteraria.

Perché proprio via Maria Vittoria come dimora per la protagonista, Esther, nel suo ultimo romanzo?

Perché in via Maria Vittoria ci sono ancora i cancelli che chiudevano il ghetto. Il ghetto torinese si apriva proprio in via Maria Vittoria. E’ proprio Esther ad avere scelto quel posto: ella ha un rapporto riluttante con l’ebraismo che la fa finire vicino alla sinagoga. Anche se è ebrea laica l’ebraismo l’accompagna per tutta la vita e il marito lo sospetta: le chiede perché non vadano a vivere in una parte nuova e lei non risponde.

È molto interessante il rapporto Esther-Rosanna…
Sì, entrambe le donne sono unite da una certa spregiudicatezza e da una morale rigida che però non ha nulla a che vedere con quella ritenuta più usuale. In Rosanna c’è una dose di incoscienza giovanile: si butta come di fronte a un salto. C’è quella frase in cui cerco di mettere in luce la sua avventatezza ma anche la sua ingenuità: “se scrivessero un’altra Bibbia ci metterebbero anche il mio nome”.
Rosanna avverte l’intelligenza e la gentilezza di Esther anche se è taciturna. E’ sbalordita di fronte a una richiesta che però non era poi così pazzesca. Nella famiglia patriarcale allargata succedeva che, se la sorella non poteva avere figli, la cugina o la sorella nubile si prestasse e poi andasse in campagna con la scusa che una parente non stesse bene per partorire il figlio. Era un modo per preservare l’identità di una famiglia, l’eredità. Allora l’istituzione dell’adozione era seguita solo fra adulti, per questioni patrimoniali: un adulto adottava un altro adulto per lasciare le sue proprietà.

Queste due figure sono anche accomunate dall’assenza del padre
Sì. Rosanna si ricorda a tratti di com’era il padre prima di perdere il lavoro, quando la faceva giocare da bambina e prima di perdere il rispetto di se stesso, per non parlare di quando è tornato dalla guerra. Non ha una relazione positiva col padre, come invece ha Esther. Tuttavia, il padre di Esther è stato anche molto inclemente verso la moglie, che se n’era andata con il suo amante: per questo ha impedito che la madre di Esther continuasse ad avere rapporti con la figlia.

Com’è venuta l’idea di un libro così radicato nella storia?
Volevo scrivere una storia non di adesso, che affondasse le radici settanta ottanta anni fa. Volevo raccontare come la storia definita con la S maiuscola finisca sempre per determinare in parte le storie personali. Ad esempio, nessuno può evitare di fare i conti con la guerra, che sia adulto o bambino, e questo determina carattere ed esistenza. La famiglia è sottoposta a certi timori. Si deve sfollare per i bombardamenti, bisogna economizzare tutto perché le razioni alimentari sono sottoposte al tesseramento.
Ho dato spazio alle fasi storiche più importanti: ascesa nazismo, Shoah, guerra civile dalla fine del ‘43 in poi, il periodo ottimistico della ricostruzione. Alla fine della prima guerra mondiale c’era un clima di risentimento sia verso i governi, che avevano portato l’Italia in guerra, ma anche in generale e non è un caso che questo abbia portato al fascismo.
Nel romanzo i personaggi vivono la guerra direttamente (alcuni) e indirettamente tutti: Rosanna lotta col cibo, lei e il fratello non hanno abbastanza da mangiare.

Le vere protagoniste, in questo romanzo, sono quindi le donne. E gli uomini, che tipo di personalità possiedono?
Riccardo non è un debole: persegue il suo innamoramento per Esther e non deflette. Continua a coltivare questo rapporto perché è quello che crede importante per la sua vita. Suo padre lo copre quando va da Esther e dopo l’8 settembre gli dice “vai da lei”. Poi c’è Nicola, innamorato della musica, che per lui viene prima di qualunque altra cosa. E’ un uomo risoluto. E’ innamorato di Rosanna ma quando gli viene offerta la possibilità di andare negli Usa non cede. Riccardo, invece, è il padre, il marito solido e generoso, un prototipo molto diverso da Nicola.

E poi anche Rosanna cambia..
In fondo è anche un romanzo di crescita, Bildungsroman. Anche Andrea passa da un’adolescenza un po’ turbinosa, in contrasto con le due donne, a una fase in cui riscopre le radici. Abbandona gli Usa, torna in Italia, vuole addirittura andare a vivere in paese, dove tutto ha avuto inizio. Dopo aver girato tutto il mondo dietro ai suoi studi, vuole tornare al paese. In questo romanzo ci sono le radici, tranne che per Esther perché il suo mondo è stato scardinato.

Parliamo della lingua utilizzata in questo romanzo: usare il dialetto funziona?
Ieri ho fatto una presentazione a Sommariva Perna, loro non usano smorbia. E’ un termine usato nell’area fra Torino e Milano, nella zona delle risaie, a Chivasso. E’ un aggettivo usato quasi solo al femminile. Smorbia è la donna che ha ambizioni sociali e che per salire la scala sociale su tutto ha uno sguardo altezzoso. E’ la donna che per elevarsi socialmente si dava anche un po’ di arie perché tutto quello che c’era in casa sua non andava bene.
La scelta poteva essere fra il linguaggio di autore, cioè il linguaggio proprio dell’autore e che questi attribuisce a tutti i personaggi o il linguaggio mimetico, cioè più variegato e adattato in base alla provenienza sociale di ciascuno. In realtà, il termine dialettale è molto più incisivo e violento, mentre la lingua è più morbida. Il dialetto è sicuramente più spiccio e si presta bene a caratterizzare la specifica localizzazione geografica.Questo è un libro di narrativa ma ci sono anche elementi storici.
Ho fatto ricerche che mi hanno fatto scoprire molte cose, ad esempio non sapevo che i tedeschi avessero portato via da Torino molte matrici tranviarie. Sono cose marginali ma di cui non sospettavo l’esistenza. Credo che la storia dovrebbe insegnarci qualcosa anche se poi purtroppo non è vero perché le cose si ripetono.
I personaggi sono tutti inventati pur tenendo conto della verosimiglianza.

[parte di intervista tratta dall’autrice dal sito: Gli Amanti dei Libri]

 

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Siamo partiti con l'idea di segnalare libri che hanno un'ambientazione torinese attraverso recensioni, incontri e interviste con gli autori ma ci piace dare spazio a quegli autori che a Torino vivono e lavorano anche se i loro personaggi sono di Roma, di New York o di un luogo immaginario. Siccome non ci piace solo la narrativa, faremo qualche incursione dentro la Storia e le tante storie che hanno fatto la città.

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