Due lapidi e una piazza rappresentano oggi la memoria pubblica della città degli episodi di violenza e degli omicidi commessi dalle squadre fasciste nei giorni 18, 19 e 20 dicembre 1922 ai danni degli avversari politici, in maggior parte operai, che si conclusero con un bilancio di 12 morti e 32 feriti.
Qualche giorno dopo quella che per antonomasia diventa la strage di Torino un uomo, con assoluta tranquillità, si assume la paternità della rappresaglia sottolineando che “le operazioni sono state autorizzate”: Piero Brandimarte, il comandante generale delle squadre d’azione cittadine.
Ma come si arriva a quell’epilogo drammatico che segna anche un passaggio importante nel processo di consolidamento e istituzionalizzazione del fascismo a Torino?
A questa domanda rispondono Nicola Adduci, Barbara Berruti e Bruno Maida, tre storici la cui professionalità e competenza non ha bisogno di presentazioni, in questo valido e necessario libro che, anticipo subito, ha il pregio di rendere di generale comprensione, anche per i non addetti ai lavori, fatti non sempre facili da decifrare e spiegare senza rinunciare al rigore del metodo storiografico.
Il libro si suddivide in quattro capitoli di cui i primi tre segnano le tappe della nascita del fascismo in città mentre l’ultimo si sofferma sulla memoria, anzi, su quel processo memoriale degli eventi che comincia subito, nel 1922, per approdare all’ultima odierna fermata XVIII Dicembre.
Nel primo capitolo la crisi economica e sociale del dopoguerra, in una città caratterizzata dalla forte concentrazione industriale e “officina” dell’Odine Nuovo di Gramsci, sfocia negli scioperi e nell’occupazione delle fabbriche degli anni dal 1917 al 1920. Il “biennio rosso”, che in città ha dei risvolti significativi, come il cosiddetto “sciopero delle lancette”, fomenta l’attrito con la piccola e media borghesia che, nel timore di perdere i propri privilegi, guarda con favore all’affacciarsi di un movimento che, seppure aggressivo e nazionalista, pare tenere testa alle rivendicazioni operaie. Il percepito clima di guerra civile, che consegue alla repressione delle rivendicazioni operaie, ha l’effetto di aumentare a tutti i livelli un sentimento di paura e la ricerca di una via di “normalizzazione” apre di fatto le porte al fascismo.
Nel secondo capitolo il primo Fascio di combattimento, costituito nel marzo 1919, cerca un suo spazio politico: composto da interventisti, nazionalisti e arditi, ex anarchici schiacciato dalle tradizioni liberali della città non ha vita facile e sembra quasi scomparso dalla scena politica agli inizi del 1920 (le elezioni politiche del 1919 segnano ancora una vittoria socialista in città). I fatti di Fiume e l’appoggio dato da Mussolini accrescono il consenso al movimento di nazionalisti e interventisti ma è la comparsa sulla scena di Cesare Maria Devecchi e della sua ambizione a diventare capo assoluto del fascismo torinese, servandosi del braccio armato dello squadrismo, che segna la svolta verso la presa del potere e l’impronta violenta del movimento che ha il suo apice nel primo assalto alla Camera del Lavoro nell’aprile 1921.
Nel terzo capitolo lo spazio è lasciato all’esplosione di violenza che sembra l’unico mezzo per dare autorità al movimento ed erodere il terreno conquistato dai partiti di sinistra tra la classe operaia. A ridosso della marcia su Roma lo squadrismo è debole. Sul fronte esterno è frustrato perché e deluso per non essere mai riuscito davvero a conquistare Torino, osteggiato dalla fede “sostanzialmente antifascista” che primeggia in città. Sul fronte interno, invece, è in preparazione la fondazione della MVSN destinata a sostituire le vecchie squadre d’azione con l’intento di controllare le frange più estreme ed eversive. La morte dello squadrista Giuseppe Dresda, colpito dal comunista Francesco Prato innesca la miccia della rappresaglia.
L’ultimo capitolo si addentra nella difficilissima impresa della memoria: una memoria pubblica e collettiva che ha plasmato le vie, le piazze, i luoghi della città e che dovrebbe avere il compito, tutt’altro che facile, di fare da ponte tra il passato e il presente e di contribuire alla “necessità di costruire consapevolezza del passato e della storia in grado di innervare e vivificare il presente”.
Il pregio di questo libro consiste non solo, come accennato, nella chiarezza espositiva ma anche nella capacità di tradurre in racconto il tessuto economico, sociale e politico che permea la città dopo la fine della prima guerra mondiale e, su questo tessuto, di ricostruire perfettamente gli avvenimenti che hanno segnato le tappe della genesi del fascismo in città. Una genesi autoritaria, violenta e intollerante verso gli oppositori, presagio di ciò che sarebbe successo negli anni a venire.
Casa Editrice: Edizioni del Capricorno
Anno di pubblicazione: 2019
Pagine: 160
Prezzo di copertina: 13,00